[ACIDI E BASI] Dalla Val di Susa a Capo San Marco


Lo scontro che in questi giorni si sta svolgendo nella Val di Susa e dintorni (non state a spaccare il capello in quattro, per favore) è uno di quegli eventi che tanto può insegnare, a chi ha voglia di imparare. E può insegnare, sopratutto, a scegliere, a preferire, a parteggiare. Esattamente come lo è stata la strage fascista di Firenze, che mi ha definitivamente convinto che in alcuni, limitatissimi casi, il mondo è veramente bianco o nero. O meglio, nero e antinero. Ed è anche diviso fra chi prende parte e chi sta nel mezzo. Troppa gente, per non prendere una posizione netta, si attacca alla frase di Voltaire (anche se non è di Voltaire): “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darò la vita per difendere il tuo diritto a esprimerlo”. Rispondere così a certe situazioni significa fare tana liberi tutti, far parlare e far agire tutti. Politicamente e non. Anche chi uccide per impedire il libero esercizio dei tuoi diritti e della tua esistenza. E quindi forse è meglio contare fino a 10, prima di citare di nuovo Voltaire o chi per lui alla leggera.

Dunque fuori le palle gente, quelle metaforiche, s’intende. E prendere posizione il prima possibile e il più spesso possibile, grazie.

Ma non divaghiamo. Dicevo, tutto questo gran casino che sta succedendo in questi giorni, ci aiuta a scegliere cosa vogliamo oggi e cosa vorremo domani.

Per esempio, io preferisco uno Stato con il quale si possa discutere prima che quest’ultimo decida qualcosa che riguarderà la mia vita. In maniera seria ed equilibrata, possibilmente. Me lo aspetto dalle persone che mi stanno intorno, perchè non devo aspettarmelo dallo Stato? Preferisco uno Stato che dialoga, e non voglio uno che dice “Parliamo ma tanto si fa come dico io. Oppure ti mando i militari, i nostri ragazzi, a menarti, vedi un po’ tu”.

Preferisco uno Stato che non usi le forze dell’ordine come repressori sadici. Ah, occhio alle reazioni di pancia: lo stato, ora, comunque la pensiamo noialtri sui carabinieri, esercito e polizia, sta effettivamente usando le forze dell’ordine come cani da guardia. E’ proprio così, basta guardarsi un po’ di video in giro. Non è così, dite? Allora nominate una manifestazione di una certa importanza (non solo numerica) degli ultimi 10 anni, e ditemi quale non è stata repressa con la violenza organizzata. Ah, non vale tirare fuori quelle del PD o dei Sindacati, perchè quelle, quando si fanno, ormai non danno più fastidio a nessuno, e quindi, che fai? Perdi tempo a manganellare proprio loro?

Preferisco dei vertici della polizia, carabinieri ed esercito, che non trattino i cittadini come nemico da schiacciare. Capisco però che questo possa capire, quando le forze di polizia e carabinieri vengono militarizzate. E quindi, preferisco uno stato dove posso fare una manifestazione e non avere paura della polizia. Oddio, ad essere sinceri magari quella paura ce l’avrò sempre, ma vorrei sentirmi mediamente sicuro, quando esco in strada a manifestare un mio diritto. Perchè se manganelli sempre, tutto e tutti, prima o poi qualcuno s’incazza, e, indovina?, un po’ di colpa ce l’hai anche tu. Pensa all’Egitto, pensa alla Siria, pensa alla Tunisia. Se vale per loro allora vale anche per noi.

Preferisco un’informazione il più possibile imparziale ed equilibrata. Non c’è alcun giornale che nei giorni passati non si sia dato alla propaganda più schifosa o alla minima copertura possibile (qui per approfondire). O meglio, qualcuno c’è, ma, nel dubbio di scegliere per chi parteggiare, non posta niente di significativo a proposito, pur essendone ampiamente capace.

Preferisco una classe politica che abbia una capacità di descrivere i movimenti sociali con uno spettro leggermente più ampio e aggiornato al presente di “brigatisti, antagonisti, black bloc, anarchici”. Sopratutto perchè, pesco a caso, IL black bloc è una strategia di piazza che non viene più applicata dal 2001.

Preferisco una società dove i discorsi possano essere più articolati di “Sì, vabbè ma anche loro hanno fatto questo, questo e quest’altro. Gnè gnè gnè faccia di serpente”. Quando si discute, lo si fa per davvero, non si cerca di mandare tutto in vacca. La vita non è Amici, non è Twitter, non è Facebook. Almeno spero, ma comunque proviamo a farla diversa.

Preferisco una classe politica che sappia articolare le proprie scelte in maniera diversa da “Ce l’ha chiesto l’Europa/i mercati/le nuove generazioni” senza farsi ulteriori domande. Perchè, se l’accettiamo come risposta valida, allora mi aspetto che quando l’Europa/i mercati/le nuove generazioni chiederanno loro di buttarsi dal pozzo, loro lo facciano.

Preferisco dei movimenti sociali che sappiano pensare come movimento compatto, e non si facciano dividere dai tranelli tipo “Eh, ma dovete isolare i violenti nel movimento”. Dice quello: “Sì, ci proviamo, abbiamo anche fatto delle barricate.. Ma loro hanno lacrimogeni, manganelli, idranti.. non è così facile!”.

Stop. La mia posizione s’è capita. Tiro a concludere, allora.

Quando maestri come questi insegnano, insegnano a tutti, e secondo me, oggi, insegnano sopratutto a noi sardi.

Cosa faremo la prossima volta che lo stato vorrà imporci un’altra servitù militare? Un parco eolico? Un radar militare? Una centrale nucleare? Dove inizierà e finirà il nostro impegno? Come riusciremo a organizzarci? Quali saranno i limiti delle nostre azioni e delle nostre pratiche? Ci opporremo solo con le parole, le manifestazioncine con le bandierine colorate (dal sangue, molto probabilmente, se l’andazzo non cambia) Prevederemo resistenze attive? Magari, se ci esasperano, violente? Presidi? Barricate? Ci faremo spaccare in due, violenti e non violenti, dai media nazionali?

Mi faccio queste domande, e le faccio a tutti voi che capitate su queste pagine, per un motivo ben preciso. A me sembra che queste domande vadano fatte, e che le risposte vadano trovate tutti insieme. Perchè sono risposte di cui abbiamo bisogno, come singoli e come collettività. La strada è sempre la stessa, d’altronde: studiare, organizzarsi, e, se proprio è il caso, agitarsi.

Molte delle risposte alle mie domande arriveranno con il tempo, fra poco. Molte saranno date dai comportamenti collettivi e individuali di manifestanti, forze dell’ordine, uomini dello stato, politici. Per questo la Val di Susa è così importante. Perché alla fine di tutto, avrà prevalso un modo di manifestare, uno di reprimere, uno di organizzarsi, uno di resistere e altri ancora. E il dopo di tutti noi si baserà anche e sopratutto su questi e sugli equilibri politici e organizzativi, sia locali che nazionali, che si verranno a creare.

Cabras (per approfondimenti clicca qui) è dietro l’angolo, e prima affrontiamo certe cose, meglio è. Perchè saremo soli, non avremo aiuti esterni, anche se questi vorranno venire. Perchè siamo un’isola, e se lo stato può militarizzare una vallata e bloccare le starde per poter reprimere il dissenso, per limitare drasticamente le nostre forze basta bloccare le navi, schierare i celerini nei porti di Cagliari, Olbia e Porto Torres, mettere qualche blindato sulla 131. E aspettare.

19 thoughts on “[ACIDI E BASI] Dalla Val di Susa a Capo San Marco

  1. Ciao Andrea,

    Il tema di uno stato che dialoga è un tema che secondo me non esiste: lo stato moderno non nasce per trattare, ma per monopolizzare ogni potere (la violenza innanzitutto) e usarlo per raggiungere i fini dello stesso Stato (che non sempre – e anzi quasi mai – coincidono con quelli delle persone o della “nazione” che lo Stato dice di voler rappresentare).

    I carabinieri, poi, non sono stati militarizzati da nessuno: i carabinieri sono militari e fanno quello che fanno fin dalla loro fondazione: obbediscono agli ordini del potere politico. Punto.
    L’utilizzo delle forze di polizia (nazionali) contro le persone è perfettamente coerente con le caratteristiche dello Stato moderno-nazionale: c’è in questo una coerenza interna al sistema che sarà sempre vincente sulla posizione (a mio parere debolissima) di chi chiede allo Stato di non essere tale (o di trattare).

    Lo Stato moderno (nazionale) non è riformabile. Si può solo superare, se si decide (come io credo) che la sua utilità si sia esaurita e che sia necessario trovare nuove forme di organizzazione del potere delegato.
    Se si resta entro l’ottica dello Stato Nazione (sia esso sardo, tedesco o italiano) non ci si deve stupire se il carabiniere, poi, ti piomba addosso anche se manifesti pacificamente.

  2. Ciao Giampaolo, parto dalle cose semplici :)

    Su una cosa siamo decisamente d’accordo. Lo Stato presente deve essere superato. E in fondo tutto il mio post non era altro che un elenco di qualità o non-qualità che lo Stato futuro (passami il termine) dovrebbe secondo me avere.

    Dici che non mi devo stupire, e infatti non sono stupito dalla reazione in sè, che mi aspetto. Fa tutto parte, come dici tu, del sistema e della sua coerenza interna.
    Sono invece stupito dall’assurdità della reazione. Ripeto, manganellare tutti quelli che esprimono dissenso non è una strategia che a lungo termine può funzionare, se il tuo obiettivo è la stabilità. Se invece è il caos, l’escalation di violenza, la guerra civile, mi sembra che oggi in Italia si stia andando verso la giusta strada. E non per fare la solita retorica anti-italiana, ma non mi pare che negli altri paesi occidentali le forze dell’ordine si comportino in questo modo atroce. O almeno spero. Di tutto questo mi stupisco senza stupirmi.

    Anche il discorso sulla militarizzazione delle fdo era agganciato a questa mia impressione: carabinieri (pur essendo militari a tutti gli effetti) e polizia, non hanno, o meglio, non dovrebbero avere lo stesso ruolo dell’esercito. Nemici in guerra e cittadini del proprio stato non sono lo stesso avversario. E uno Stato (presente o futuro) dovrebbe tenere a mente questa divisione. Sarebbe come allenare una squadra di football e metterla a giocare a calcio: posso essere efficaci nel breve periodo, ma non nel lungo!

    Almeno credo. Correggimi pure se sbaglio o prendo cantonate troppo grosse, commuoviti ma correggimi, ok? :D

  3. La discussione sul superamento dello Stato moderno è interessante e mi dispiace riportarla alle cose semplici, come dice Andrea.
    Le cose semplici dicono che stiamo parlando di un progetto nato, approssimativamente, nei primi anni Novanta, passato quindi per le mani di governi di ogni colore e presumibilmente sindaci di altrettanti colori. Un progetto discusso e modificato. Un progetto che ancora oggi ovviamente a qualcuno non piace (e quando mai c’è unanimità su queste cose?).
    Detto questo, mica erano militarizzati gli incontri coi sindaci e le comunità locali. Si è discusso e a un certo punto si è portato avanti, ovviamente, il risultato di questa discussione. La militarizzazione è arrivata perché qualcuno intende per discussione “fai quello che dico io”, in questo caso traducibile con “non si fa niente”. E a questo qualcuno da anni si è affiancato uno schieramento di cosiddetti antagonisti, che non esprimono semplicemente dissenso ma, piaccia o meno, violano la legge.
    Senza entrare nel merito della bontà o meno del progetto, sinceramente non ho gli strumenti per farlo, anche se ho la mia opinione, dire che lo stato anziché dialogare manda la polizia a manganellare significa raccontare una storia falsa. La polizia si occupa di ordine pubblico e basta. La discussione c’è già stata, anche se le conclusioni non piacciono a tutti, ecco.

  4. Io credo che il discorso sulla forma dello Stato in questa cosa sia centrale (non so se sia semplice o difficile, alta o bassa, ma centrale sì). Perché qui si tratta di capire chi prende le decisioni, chi le fa rispettare e sulla base di quale mandato (o legittimazione).
    Costituzionalmente tu hai un parlamento/governo che prende decisioni e le impone (talvolta con l’uso dei carabinieri) anche quando questa decisione non piace alla gente che con quella decisione deve suo malgrado convivere.

    Perchè lo stato-nazionale italiano prevede che su certe materie, una volta che hai scelto il tuo rappresentante in Parlamento, tu cittadino non possa più dire nulla.
    Quindi che si fa?

    Il problema non è che la contestazione sia violenta o meno: il problema è che da un punto di vista diciamo – costituzionale – il processo decisionale non prevede che chi legifera (il parlamento, il governo) consulti preventivamente delle popolazioni interessate da un dato intervento.

    Quella delle consultazioni è – caso mai – una concessione che lo Stato-Nazione ti fa, se organizzi una mobilitazione tale da rendere le tue ragioni visibili e non eludibili.

  5. il discorso sulla forma dello Stato è centrale, è vero, ma io mi premuravo prima di riportare una ricostruzione un po’ più fedele dei fatti
    con tutti i limiti del caso, siamo una democrazia rappresentativa, i rappresentanti dei cittadini eletti a livello nazionale discutono coi rappresentanti dei cittadini eletti a livello locale, alla fine ovviamente cerca di far rispettare le decisioni, anche con la polizia, se qualcuno viola la legge
    poi, il fatto che alcuni localmente siano contrari, beh…non ci sarebbero state autostrade, ferrovie, niente ci sarebbe stato se a un certo punto lo Stato non avesse deciso e imposto. Not in my back yard, no?
    poi esiste il referendum, che è l’unica forma di democrazia diretta che abbiamo, ma non so se ci sia o ci sia ancora la possibilità di farne in val di susa

  6. “i rappresentanti dei cittadini eletti a livello nazionale discutono coi rappresentanti dei cittadini eletti a livello locale”. Mirko questa è un’opzione: nessuna norma dice che le cose devono andare così.
    Lo Stato può farne tranquillamente a meno.

  7. hai ragione, può farne a meno, ma non ne ha fatto meno in questo caso, quindi non si può derubricare la questione a “lo stato usa la polizia per imporre le sue decisioni”
    però ripeto, la questione è interessante. come si fa? le comunità locali decide per se stesse? chi sono le comunità locali? un sindaco rappresenta la comunità locale? ogni singolo cittadino ha diritto di veto, di fronte alle decisoni dello Stato?

  8. @Mirko:
    a me risulta invece che lo Stato non abbia fatto incontri preparatori seri. La discussione di cui parli tu non sembra ci sia stata. Al contrario, lo Stato ha deciso e imposto. (Ma ci sta che io mi sbagli, linkami qualcosina, io mi sono informato sopratutto su notavtorino.org.)

    Non che lo Stato non possa decidere e imporre, anzi è nei suoi pieni poteri, per quanto a me non piaccia. Ma mi chiedo, vista la situazione che questo modo di fare le cose ha causato in Val di Susa, non vale la pena di ripensarci?

    O davvero è utile ed efficace l’azione dello Stato in questo caso? Non converrebbe ripensarci, invece di militarizzare e andare allo scontro diretto, come si sta facendo in questi giorni? A me sembra proprio che siamo nella situazione di cui parlava Giampaolo: secondo me, ora bisogna riaprire le consultazioni. Ma non solo sulla Val di Susa, su tutto il sistema ferroviario italiano e sui piani sui trasporti.

  9. al momento ho trovato questo
    http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/tav/tav/tav.html?ref=search
    in cui si fa riferimento a un confronto durato due anni, mi sembra abbastanza
    poi ripeto, si può discutere tutto, si può discutere la qualità delle conclusioni a cui si è arrivati, si può ancora discutere la bontà del progetto e si può discutere di massimi sistemi, discutere se lo Stato debba o no imporsi sulle comunità locali
    ma non si può dire che anziché dialogare lo Stato manda la polizia, la polizia è arrivata perché c’è chi occupa i cantiere e le autostrade, ad esempio, e questo si chiama ordine pubblico

  10. @Mirko: nell’articolo si fa riferimento a tre anni di contenzioso (2005-2008), mentre il movimento notav è una realtà quasi ventennale ormai. Mi farebbe piacere leggere qualcosa di più completo, se esiste. :)

    Per chiudere la discussione (che ormai si sta protraendo per troppi commenti): ammesso (ma non concesso, sospendo il giudizio fino a che non trovo una cronistoria completa) che lo stato abbia pure discusso, parlato, chiarito fino a che lo ha ritenuto utile ed efficace, ecc. ecc., la sua risposta attuale, ai problemi di questi giorni è: mandare la polizia, i carabinieri, i militari.

    Non c’è altra risposta a delle richieste che arrivano dalla Val di Susa. E non mi pare che si possa ignorare che ormai questa è una questione politica e non solo di ordine pubblico. E, ho quasi finito il pistolotto tranquilli, a mio avviso il problema di ordine pubblico non si sarebbe posto se si fosse affrontata per tempo la cosa, con il dovuto peso e la dovuta serietà.

    Poi ripeto: lo Stato lo può fare, è nelle sue facoltà. Gioca la sua partita come meglio crede. E chi sta in Valle pure. Ma è proprio questa la risposta che va data in un momento come questo? Un muro contro muro? Secondo me no. Secondo me sta sbagliando in pieno.

    Per quanto riguarda l’altro discorso che facevi:
    Non penso che ogni singolo cittadino abbia potere di veto sulle decisioni dello Stato. E nemmeno il referendum nazionale mi sembra una cosa fattibile. Una volta, non mi ricordo in quale sede, Giampaolo faceva un discorso molto interessante sul decentramento delle responsabilità, con il quale mi trovavo quasi completamente d’accordo. Forse è quella la strada.

  11. Andrea, la domanda che faccio io è: dopo il confronto una decisione va presa o no? e chi la prende?
    io penso che il confronto ci sia stato, la decisione sia stata presa (centralmente) e qualcuno, non contento, stia violando la legge per impedire che la decisione presa venga portata avanti
    ecco perché arriva la polizia
    non è questione di muro contro muro è che dialogo e confronto a oltranza sono cose che non stanno in piedi

    sul decentramento delle responsabilità posso essere d’accordo, ma alla fine questa responsabilità su qualcuno cadrà o no? e se c’è chi non è d’accordo che si fa?

  12. @Mirko
    La mia risposta risposta alla tua domanda è: dopo ogni confronto una decisione va presa e portata avanti. E il confronto deve essere fatto in modo tale da sciogliere i dubbi, minimizzare le opposizioni, massimizzare le inclusioni, evitare problemi evitabili.

    Ecco, io penso (fino a che non mi convinto altrimenti, non ho la verità in tasca) che in questo caso un confronto serio, onesto, aperto e inclusivo non ci sia proprio stato! Una decisione è stata presa, fregandosene di tutta una serie di fattori che andavano presi in considerazione. Sarà pure stata una decisione legittima e permessa dall’ordinamento statale, ma per come stanno andando le cose oggi, non mi pare sia stata una scelta azzeccata.

    E chi ha seminato vento oggi sta raccogliendo tempesta, incapace di gestire alcunché (se non con manganelli) e condanne generiche contro “i violenti”, come se questi, e il torto, fossero tutti da una sola parte.

    Poi la mia rimane un’interpretazione, un’analisi di parte (ma questo l’avevo già espresso ampiamente nel mio post), che si può condividere o non condividere. Non è la verità assoluta.

    Detto ciò, pur partendo da prospettive così diverse, è possibile che due come noi trovino un punto in comune? Una prassi politica che possiamo applicare insieme? Una prassi che permetta di resistere a eventuali scelte prese lontano da noi e che vanno a nostro svantaggio?

  13. Mah, non so quanto sia stato serio il confronto, certo “sciogliere i dubbi, minimizzare le opposizioni, massimizzare le inclusioni” è dura quando il confronto è con persone che si definiscono “no tav”, mica “un’altra tav”, proprio no tav.
    Che il progetto sia cambiato dopo il confronto lo ammettono anche i no tav, che però non sono contenti perché appunto sono per il no e basta.
    Poi, ripeto, nel merito io non sono in grado di dire chi abbia ragione o più ragioni.
    Al momento, presa la decisione, non c’è molto da fare se non mandare la polizia a liberare strade e cantieri. Non c’è niente da gestire, il problema politico è che lì in mezzo c’è gente per cui la tav è una scusa e quelli che invece il problema della nuova ferrovia lo vivono davvero si appoggiano a questi, che sono attrezzati e organizzati.

    Ma a parte questo, non so se possiamo trovare un punto in comune. Non so nemmeno se esista “una prassi che permetta di resistere a eventuali scelte prese lontano da noi e che vanno a nostro svantaggio”. Hai qualche idea? Vediamola, parliamone. Ma ripeto, mettiamo che si preveda che su queste cose si decide localmente. D’accordo. Cosa significa? I comuni? Bene, il problema si sposta localmente ma non si annulla mica. Se il sindaco decide che si fa allora va bene, se lo decide il governo allora no?
    Oppure decidono direttamente i cittadini? Con quali strumenti? E se la maggioranza decide che si fa, la minoranza accetta oppure occupa le autostrade e i cantieri?
    Ma poi su cose di interesse nazionale si può decidere davvero localmente?

  14. Molte delle risposte alle mie e tue domande le ho trovate, proprio pochi minuti fa in questi due link: http://bit.ly/zwhKtY e http://bit.ly/xdh6hy. Sono interessanti sopratutto i punti riguardo ai progetti alternativi e alla assoluta mancanza di confronto.

    Per il resto, mi sembra di aver già chiarito la mia posizione e di aver risposte a quasi tutte le tue domande nel mio post e nei commenti più sopra. A quelle che non ho risposto (quelle sul decentramento e sui processi decisionali, per capirsi) non sono in grado. Cercavo appunto qualche spunto e qualche risposta alle domande che ho posto alla fine del post.

    Propongo di lasciar libero lo spazio a qualcun altro che voglia commentare e vediamo se la discussione si sblocca in qualche modo. Altrimenti, se siamo solo noi due, è meglio continuare la discussione in un’altra sede :)

  15. Concordo con Giampaolo. Lo stato, per sua natura, impone le decisioni, praticando coercizione nei confronti degli individui e delle comunità. Il tema della rappresentanza politica e del superamento dell’attuale forma è centrale. Io credo che le comunità locali debbano poter decidere, organizzandosi, sugli interventi di tale impatto praticati nei loro territori. Non ha più senso giustificare le grandi opere con le motivazioni della crescita e del progresso, sopratutto ora che il paradigma della crescita infinità è sempre più traballante. In Val di Susa l’alternativa referendaria non è stata neanche valutata, sarebbe potuta essere un’ottima soluzione. Segnalo un documento serio e completo, che approfondisce i temi del no da un punto di vista libero e scevro da pregiudizi ideologici. http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=5009

  16. @Giovanni,
    concordo con te su praticamente tutto. Ho però difficoltà a immaginarmi uno scenario in cui un referendum boccia la possibilità di costruzione di un’infrastruttura che lo Stato (a torto o a ragione) decide di costruire. Quindi, parafrasando le parole di Mirko, come si sbroglia la matassa in questo nostro caso ipotetico?

    Ho guardato il link che hai segnalato (che secondo me fa il paio con questo http://bit.ly/w1mHqw, anche se è più “coinvolto), però il documento completo non è raggiungibile. Ho provato a leggere il secondo documento, ma molte delle cose mi sono sfuggite! :( Forse perchè è scritto in “impresese”? :D

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